Complesso delle ex Officine Grandi Motori – una proposta di riqualificazione
L’ex complesso delle Officine Grandi Motori, storica fabbrica della FIAT, occupa oggi un’area urbana di circa 72.000 mq. E’ nel 1923 che la fabbrica esistente viene acquistata dalla Fiat che inaugura la sezione Grandi Motori, destinata «alla costruzione di motori diesel per qualsiasi applicazione ed in particolare per uso marino». Arriva ad impiegare negli anni ’60 fino a 4.000 operai nel momento della sua massima espansione.
Lo stabilimento è stato attivo fino alla prima metà degli anni ’70 quando la produzione viene spostata a Trieste. Da allora un lento e progressivo abbandono ne ha segnato il degrado andando di pari passi con lo spopolamento e la disgregazione sociale del quartiere attorno alla fabbrica.
Dobbiamo aspettare il primo decennio del nuovo millennio perchè un gruppo di investitori privati ne acquisisse la proprietà. Il progetto, di concerto con la Città, prevedeva di insediarci
un grosso centro commerciale, del terziario, una torre residenziale e cederne una parte al Comune per insediarci il Mercato dei fiori ed un museo delle macchine industriali del Politecnico di Torino.
Ma i tempi forse non troppo maturi e la contingente crisi economica hanno fatto si che alla fase iniziale di demolizione parziale dei fabbricati esistenti non sia seguito nulla.

La figura qui sopra mostra lo stato attuale dell’area e il vuoto urbano che si è creato dopo la demolizione della maggior parte dei precedenti edifici. Oggi l’area è, suo malgrado, testimone di un periodo economico non facile che ancora si protrae. Ma soprattutto crediamo di un’occasione mancata per la Città e per gli investitori privati perchè l’enorme lotto si trova al centro di un’area in trasformazione e, seppur lenta, riqualificazione del Quartiere Aurora.
Nel raggio di poche centinaia di metri abbiamo aree in forte riqualificazione: l’area ex-Incet, il nuovo complesso della Lavazza con la scuola IAAD, il Parco Dora e il polo della Scuola Holden. Dei fabbricati mantenuti l’edificio meglio conservato è quello che si trova sull’angolo nord – est tra corso Vercelli e corso Vigevano. Consta di un’impronta a terra di circa 2.500 mq e si sviluppa per 4 piani fuori terra generando una superficie complessiva di circa 10.000 mq.
Fu progettato nel 1922 dall’architetto Mattè Trucco, lo stesso progettista della più nota fabbrica del Lingotto. Il disegno della facciata ne ripercorre lo stesso tema progettuale tant’è che all’epoca fu chiamato “Lingottino”.

Gli altri edifici ancora presenti sull’area sono ridotti a tettoie chiuse al massimo su tre lati. Il resto è un’enorme soletta in cemento a cielo libero. Gli ultimi lavori svolti nella primavera del 2016 hanno visto la rimozione di alcune vasche interrate al fine di eliminare ulteriori fonti di inquinamento del terreno.

LINEE GUIDA DELLA PROPOSTA
Come accennato in premessa la Città si trova oggi con un enorme vuoto urbano che, seppur di proprietà privata, riflette il suo degrado e il suo abbandono sul quartiere circostante trasformandosi così una questione pubblica. La fabbrica è tutt’oggi un rifugio per disperati.
Si è ben consci che non si può obbligare direttamente un privato a riqualificare l’area, ma l’Amministrazione potrebbe aprire un tavolo tecnico con i proprietari, al fine di cercare insieme una strategia di utilizzo.
Il lavoro che presentiamo vorrebbe essere una reale proposta di riutilizzo dell’area, articolata in più fasi, che possa far convergere gli interessi della Proprietà insieme a quelli della comunità/Città che vive tutti i giorni quell’area.
Oltre alla specifica proposta progettuale, meglio descritta nelle prossime pagine, cominciamo ad enunciare i tre principi generali del progetto, che potrebbero essere validi e utili anche in altre eventuali proposte.
_ Il primo principio è il terreno. Il fatto che sia contaminato da metalli pesanti è un problema che con un budget illimitato potrebbe essere risolto semplicemente, ma nel nostro caso deve essere in qualche modo neutralizzato senza troppi sforzi economici. Una soluzione già adottata in cantieri simili è quella di “tombare” il sedime dell’area attraverso la costruzione, anche progressiva di una soletta con stratigrafia adeguata. Questo approccio ci sembra adeguato ed utile per cominciare subito a cantierizzare dei lotti specifici. Per i successivi lotti si può invece pensare ad una decontaminazione attraverso piantumazioni ad hoc sull’esempio dell’esperienza dell’ILVA di Taranto.
_ Il secondo principio è il riutilizzo degli edifici esistenti. Un progetto che voglia ridisegnare l’area delle Officine Grandi Motori deve necessariamente partire, per quanto possibile, da ciò che è già costruito, in un’ ottica di riduzione di nuovi volumi e di riutilizzo dell’esistente, trattandosi inoltre di un edificio di notevole rilevanza storico-architettonica.
_ Il terzo principio è che, a causa dei budget a disposizione sicuramente limitati, il progetto debba essere articolato per passi successivi. E’ necessario un disegno complessivo con una visione generale di lungo periodo, ma che preveda di essere realizzato in fasi che abbiano una loro operatività indipendente.
Prima di entrare nel merito della proposta diciamo brevemente chi sono gli attori di questo progetto e quali gli interressi comuni che potrebbero confluire nel progetto. L’area è di proprietà di Esselunga SPA, noto marchio italiano della grande distribuzione che ha nel settore alimentare il suo maggior fatturato. Da più di dieci anni inoltre il marchio promuove delle linee specifiche di prodotti biologici e controllati lungo tutta la loro filiera produttiva. La Città di Torino, invece, ha oggi una nuova Amministrazione che ha nella sua operatività politica principi come il recupero delle periferie, il recupero delle aree dismesse e soprattutto la salute dei cittadini, intesa innanzitutto come promozione di modi di vita più sani. Da una parte quindi abbiamo chi vende e produce generi alimentari e dall’altra abbiamo una Amministrazione attenta alla salute dei suoi cittadini e che vuole ricucire gli strappi urbani della sua Città.
IL PROGETTO ORTIE
Il progetto per le ex-Officine Grandi Motori è quello di trasformarle nel più grande polo urbano europeo in tema di alimentazione : ORTIE
Oggi l’attenzione verso ciò che mangiamo avviene solo durante l’ultima tappa del prodotto alimentare e cioè nel punto vendita. Nelle grandi città è difficile apprezzare e valutare il ciclo produttivo degli alimenti in quanto coltivati, lavorati e confezionati altrove. Noi arriviamo nel negozio o al punto di raccolta del gruppo d’acquisto e compriamo il bene sulla cui confezione è garantita la sostenibilità ambientale e apposta l’etichetta “bio”. Nel futuro della ex fabbrica noi potremmo vedere, vivere e seguire tutto il ciclo vita del prodotto, i nostri figli potranno partecipare alla coltivazione e ricevere un’educazione ambientale diretta, consapevole. La fabbrica che prima faceva motori diesel produrrà domani cibo sano e pulito per le mense scolastiche della città in serre pubbliche e aperte, visitabili e fruibili da tutti, ORTIE sarà la Città in Salute.
Ma da dove cominciare e come?
Mantenendo fede ai principi sopra elencati, il progetto pilota di ORTIE dovrebbe cominciare dall’edificio più pregiato e meglio conservato, cioè quello situato tra corso Vercelli e corso Vigevano.
La tecnologia utilizzata per questo tipo di coltivazione indoor sarà quella idroponica, ovvero senza la necessità di terra. Questa tecnica colturale è ormai consolidata ed apprezzata in tutto il mondo, proprio in quelle situazioni in cui la coltivazione a terra è compromessa. Numerosi esempi sono già attivi in Nord Europa (www.urbanfarmers.com) e in Nord America (www.lufa.com) e potrebbero fornire le basi teoriche e pratiche per l’applicazione e lo sviluppo di questo sistema di coltivazione anche nella nostra città.
Un tipo di progetto del genere dovrebbe coinvolgere, per la sua portata, sia l’Università di Torino e il Politecnico sia l’ENEA che sta sperimentando tipi di coltura idroponica in nove centri di ricerca in Italia ed ha presentato proprio all’ultima EXPO un prototipo di serra idroponica.
Questi due attori insieme ad Esselunga SPA potrebbero inizialmente utilizzare i 10.000 mq dell’edificio occupando un piano a testa e avendo a disposizione l’intero piano terra come luogo di scambio/commercio con la Città.
Il piano terra potrebbe ospitare uno spazio commerciale di Esselunga Spa, degli spazi didattici e di presentazione del progetto e naturalmente un ristorante vegano dove si consumano i prodotti coltivati nei piani sovrastanti. Il piano terra, aperto e permeabile diventa luogo di scambio nonchè polo attrattivo per il quartiere.

L’energia elettrica necessaria ad alimentare il sistema di illuminazione indoor potrebbe essere in parte fornita da una dotazione di fotovoltaico in copertura e una parte integrata nella facciata sud dell’edificio nel rispetto delle caratteristiche architettoniche di questo bell’esempio di archeologia industriale. Un impianto geotermiche inoltre contribuirebbe in modo sostanziale alla climatizzazione dell’edificio. L’interno dell’edificio nei piani dove avvengono le coltivazioni si presenterebbe più o meno come la figura qui sotto.

La coltivazione fuori suolo presenta degli evidenti vantaggi in situazioni ambientali dove il substrato non è in condizione di far crescere la coltura in modo ottimale, come ad esempio roccia o terreni eccessivamente sabbiosi o terreni compromessi come il nostro. Un altro vantaggio di questo tipo di coltivazione è il minor utilizzo di acqua per ottenere il medesimo risultato, indicativamente di un decimo rispetto alla coltura in terra, rendendo questo sistema particolarmente utile in quelle situazioni ambientali dove la scarsità di acqua rende difficile o addirittura impossibile la coltivazione di ortaggi. Da non sottovalutare l’aspetto ambientale visto che l’utilizzo dei fertilizzanti è mirato e non ci sono dispersioni nel terreno; l’utilizzo di diserbanti è assente, mentre l’utilizzo di antiparassitari è decisamente ridotto.
In termini qualitativi il prodotto mostra uniformità di dimensione e caratteristiche oltre che qualità organolettiche costanti in tutta la produzione, qualità richieste dalla distribuzione organizzata ai produttori di frutta e ortaggi. E’ altresì vero che le colture idroponiche stentano a prendere piede visti gli elevati investimenti economici iniziali rispetto ad una agricoltura tradizionale ma in questo senso il progetto ORTIE si potrebbe proporre a livello nazionale proprio come centro di ricerca e di valutazione di questo tipo di coltivazione.

DAL LINGOTTINO ALLA COLTIVAZIONE URBANA
Avviato e consolidato il progetto pilota la visione del polo urbano della coltivazione e del cibo biologico dovrebbe man mano espandersi a tutto il lotto precedentemente occupato dalla fabbrica, in parte sfruttando i terreni nel frattempo bonificati, in parte utilizzando le tettoie esistenti come serre mantenendone la struttura e sostituendone i tamponamenti opachi con dei tamponamenti trasparenti.
Alle tradizionali attività produttive in serra finalizzate a soddisfare le esigenze delle mense scolastiche cittadine si potranno via via affiancare attività pubbliche quali orti sociali, attività di ristorazione e svago, orti didattici e sperimentali e serre botaniche aperte al pubblico.
ORTIE sarà luogo di produzione di beni e quindi con una ricaduta occupazionale diversificata ma anche luogo di produzione di benessere e di educazione alle tematiche ambientali e nutrizionali.
Il sistema, a règime, dovrebbe mantenersi oltre che con la produzione agricola anche con gli sponsor e le attività collaterali quali ristorazione ed eventi.
CONCLUSIONI
Il progetto qui presentato non pretende di essere esaustivo, ma vuole essere una visione di un futuro possibile e costruttivo per quello che oggi è simbolo di abbandono e di degrado.
Il progetto ORTIE è un augurio che magari l’Amministrazione pubblica possa innamorarsi di questa idea ed abbia la voglia di sostenere un tavolo tecnico che valuti, attraverso diverse competenze, la fattibilità del progetto insieme alla Proprietà del bene.
